L’importo della pensione di reversibilità può essere ridotto se non vengano rispettate delle condizioni reddituali. Come rimediare per non perdere la prestazione?
La pensione di reversibilità è l’assegno che viene riconosciuto in favore dei familiari superstiti di un contribuente pensionato deceduto, iscritto a una delle Gestioni previdenziali INPS. La misura, in particolare, è erogata ai parenti prossimi, come il coniuge (o l’unito civilmente, anche se è intervenuta la separazione o il divorzio) e i figli, e in mancanza di questi ultimi ai nipoti, ai genitori e ai fratelli o le sorelle del defunto.
La somma spettante non è uguale per tutti, ma dipende dal grado di parentela e della formazione del nucleo familiare. Per legge, infatti, ai superstiti è attribuita una parte della pensione percepita in vita dal contribuente morto, nelle seguenti misure:
- il 60% va al coniuge senza figli;
- l’80% va al coniuge con un solo figlio;
- il 100% va al coniuge con due o più figli.
La pensione di reversibilità, però, è calcolata anche in base al reddito posseduto dai beneficiari. Se vengono oltrepassate determinate soglie, l’INPS opera delle pesanti penalizzazioni. Quali sono i limiti da osservare? Vediamoli.
Pensione di reversibilità: quando scattano le riduzioni sull’importo?
I tagli sulla pensione di reversibilità sono effettuati in maniera assoluta e non in base a un sistema a scaglioni. Il meccanismo viene chiarito nell’art. 13 della Legge n.636/1939 e nel comma 41 della Legge n. 355/1995.
In particolare, il coniuge, se solo, ha diritto al 60% dell’assegno pensionistico percepito dal contribuente deceduto. Se, però, il coniuge (o l’unico civilmente) già possiede dei propri redditi, alla pensione di applicano le seguenti riduzioni:
- 25%, nel caso in cui il superstite abbia un reddito superiore a tre volte il trattamento minimo (ossia 31.127,72 euro);
- 40%, se il coniuge superstite possiede un reddito tra tre e cinque volte il trattamento minimo (ossia non oltre 38.909,65 euro);
- 50%, qualora il reddito del coniuge sia superiore a cinque volte il trattamento minimo (ossia 38.909,65 euro).
È bene chiarire, però, che la riduzione non riguarda solo la parte di reddito eccedente la soglia massima, ma tutto l’importo della pensione di reversibilità. Sulla modalità di applicazione dei tagli è intervenuta anche la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 162/2022, ha chiarito che la penalizzazione non può essere maggiore della somma dei redditi aggiuntivi del percettore della pensione di reversibilità. Questa regola serve a impedire penalizzazioni troppo pesanti e ad assicurare l’erogazione di una cifra minima, oltre la quale non si può scendere.